Quel che vi serve sapere: il Wakanda è sotto attacco delle forze armate dell’Unione Panafricana. Dopo un primo momento di difficoltà M’Koni, la Pantera Nera in carica, grazie anche all’aiuto di nuovi ed insospettati alleati sta riprendendo il controllo della situazione e si appresta a contrattaccare. Nel frattempo a New York si profilano nuovi guai per il Leopardo Nero.

 

 

 

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Di Carlo Monni

(con tanti ringraziamenti a Carmelo Mobilia e Mickey)

 

 

Capitolo 21

 

Confronto

 

 

Palazzo Reale di Wakanda. Sala del Consiglio.

 

Quello che si stava svolgendo in quel momento era un vero e proprio consiglio di guerra. Oltre alla sovrana M’Koni, che indossava il costume rituale della Pantera Nera completato da una corta mantella, erano presenti: i suoi cugini Khanata e Shuri che indossavano varianti dello stesso costume, il neo Primo Ministro Taku, il Ministro della Difesa W’Kabi, quello degli Esteri Amara Azikiwe ed il capo dei Servizi di Sicurezza Omoro.

La situazione era seria, ma tutt’altro che disperata; le forze armate del Wakanda avevano ripreso il controllo dell’aeroporto della capitale, gli agenti con superpoteri della Federazione Panafricana che avevano cercato di rapire i membri della Famiglia Reale erano stati catturati. Anche se si continuava a combattere in tutta la nazione e perfino nella capitale stessa, era ormai evidente che l’invasione orchestrata dall’uomo conosciuto come Dottor Crocodile aveva indubbiamente perso slancio.

Mentre ascoltava gli ultimi rapporti M’Koni si sentiva decisamente rincuorata: il suo ancora breve regno non sarebbe finito in un disastro, non ancora almeno.

<Cosa intendi fare adesso, Mia Sovrana?> le chiese Omoro.

M’Koni si concesse un profondo respiro prima di rispondere. Cosa intendeva fare? Bella domanda. Anche se ormai come Capo di Stato e non più anche del Governo il suo ruolo era diventato quasi esclusivamente cerimoniale, era comunque a lei che guardavano tutti. Sapeva benissimo che erano in tanti a ritenere che lei fosse inadatta per il posto che ricopriva e che alcuni di questi erano perfino tra i presenti. Nonostante i suoi stessi dubbi, non poteva assolutamente mostrarsi indecisa ed incerta.

<Non ci limiteremo a respingere il nemico, ma porteremo la guerra in casa sua.> disse infine <Joshua N’Dingi deve imparare che nessuno può invadere il Wakanda impunemente. Questo è compito tuo, W’Kabi.>

Il Ministro della Difesa annuì gravemente e poi replicò:

<Consideralo fatto.>

<Bene. Abbiamo parlato anche troppo. È ora di agire.>

 

 

Upper West Side, Manhattan, New York City.

 

Il nome dell’uomo era Vlad Dinu, ufficialmente un imprenditore di successo nel campo dell’import-export, con un bella moglie molto più giovane ed una casa in uno dei quartieri più eleganti e costosi della città. Sotto la facciata di rispettabilità si celava però una realtà più sinistra: con il soprannome di Vlad l’Impalatore, Dinu era a capo di una rete internazionale di traffico di esseri umani, in maggioranza di sesso femminile, provenienti dall’Est Europa, Africa, Asia da destinare alla prostituzione. Un’inchiesta congiunta delle autorità locali e federali, unita all’interferenza del supereroe chiamato Leopardo Nero, aveva portato al suo arresto ed al successivo rilascio su cauzione.[1]

Il processo non lo preoccupava: il suo principale accusatore non sarebbe arrivato vivo a testimoniare in tribunale e senza di lui le accuse a suo carico sarebbero crollate come un castello di carte. C’era un'altra cosa, però, che aveva provocato la sua ira ed era un problema che andava risolto il prima possibile.

Vlad fissò l’uomo e le due donne davanti a lui e disse con voce ferma:

<Zebra Daddy deve morire.>

<Vuole che me ne occupi io?> gli chiese una donna elegante dai capelli corti e neri che parlava inglese con un lieve accento slavo. <Lo consideri un bonus per aver mancato il contratto sul Leopardo Nero.>

<Inteso. La sua organizzazione ha fama di essere efficiente quasi quanto quella dello Straniero, Madame Montenegro ed anche lui ha avuto la sua quota di fallimenti quando si è trovato davanti i cosiddetti supereroi. Questa volta, però, voglio la prova incontrovertibile che Zebra Daddy è morto.>

<La avrà a costo di portarle la sua testa proprio qui.> replicò la donna che si faceva chiamare Sasha Montenegro.

<Questo è un atteggiamento che mi piace.>

Ci fu un breve scambio di convenevoli, poi la donna se ne andò e Vlad si rivolse agli altri due in rumeno:

<Angela ha osato lasciarmi portando con sé mio figlio e questo è intollerabile. Sta a te ritrovarla e riportare a casa tuo fratello Gabriel, Nicolae.>

<E lei?> chiese Nicolae Dinu al padre.

<Fanne quello che vuoi, non mi interessa. Puoi anche ucciderla.>

<Sarebbe troppo facile per quella troia ed anche uno spreco. Io l’affiderei per qualche ora alle cure dei nostri uomini e poi la metterei in uno dei nostri bordelli clandestini, così capirebbe bene cosa vuol dire mettersi contro i Dinu. Senza contare il guadagno che ne ricaveremmo.>

<E poi dicono che sono io quello crudele. Sei davvero mio figlio, Nicolae.>

<Ho imparato dal migliore. Mi metto immediatamente al lavoro.>

<Quanto a te, Vera…> disse ancora Vlad rivolgendosi alla bionda davanti a lui <Con Tiberiu morto e Cristu ancora in carcere sta esclusivamente a te occuparti di gestire il prossimo carico.>

<Non ti deluderò, Vlad.> ribatté Vera Konstantin.

<So che posso contare su di te, mia cara. Ho completa fiducia nelle tue capacità, ormai dovresti averlo capito.>

<E di questo ti ringrazio, Vlad.>

Nicolae storse le labbra. Vera era sempre svenevole con suo padre e lui sembrava cascarci. Se avesse avuto lui il comando non si sarebbe fatto incantare tanto facilmente, ma per il momento gli conveniva starsene tranquillo.

 

 

Palazzo Reale del Wakanda.

 

Accompagnata dalle sue fedeli guardie del corpo Ayo ed Aneka, M’Koni percorse a passo spedito il lungo corridoio che portava all’esterno.

<Mia Signora, è certa di voler andare?> le chiese Ayo <Là fuori non è ancora sicuro.>

<Avresti fatto questa domanda anche a T’Challa?> replicò M’Koni <Io credo di no. Forse pensi anche tu che sarebbe stato meglio se al mio posto ci fossero stati Khanata o Shuri?>

<Mia Signora… io…> iniziò a dire Ayo, ma M’Koni la bloccò con un gesto della mano e disse:

<Non è necessario che tu risponda, non ha importanza. Il fato ha voluto che questo fardello ricadesse su di me ed io non intendo sottrarmi al mio dovere. Il popolo ha il diritto di sapere che la sua sovrana si batte al suo fianco in quest’ora buia.>

Ayo annuì in silenzio.

Pochi minuti dopo erano a bordo di un jet supersonico che le attendeva in un hangar sotterraneo. A bordo c’era un giovanotto che indossava una calzamaglia verde con strisce rosse sulle braccia ed una testa stilizzata di pantera dipinta all’altezza del petto.

<È un piacere averti con noi, Jiru.> lo salutò M’Koni <E soprattutto rivederti in buona salute.>

Jiru, già assistente dell’ex Primo Ministro N’Gassi e nuovo Capo dello Stato Maggiore della Difesa,[2] annuì gravemente e poi disse:

<Non sarei mai potuto rimanere in disparte mentre il Wakanda è preda di una così grave crisi, Mia Signora.>

<Non mi aspettavo di meno da te. E basta con quel “Mia Signora”. Ci conosciamo da bambini ed io per te sarò solo e sempre M’Koni.>

<Come desideri, Mia Signora.>

M’Koni sospirò, poi si rivolse al pilota:

<Ashei, decollo immediato.>

 Il tetto si scoperchiò ed il velivolo si alzò con un impeccabile decollo verticale, per poi solcare il cielo della capitale.

<<Destinazione?>> chiese il comandante.

<Il quartier generale mobile del Dottor Crocodile, naturalmente e senza indugio.> rispose M’Koni con quello che sperava essere un tono fermo e deciso.

 

 

Da qualche altra parte, non troppo lontano.

 

Joshua N’Dingi, Presidente della Federazione Panafricana, non era decisamente un uomo comune. Tanto per cominciare era un genio scientifico forse alla pari di Reed Richards e del Dottor Destino, sicuramente al livello di Tony Stark e di T’Challa, la precedente Pantera Nera, da tutti ritenuto morto.

Un incidente di cui preferiva non parlare gli aveva portato via un braccio, una gamba ed un occhio, tutti sostituiti da sofisticate protesi bioniche. Lo stesso incidente aveva anche devastato la sua pelle lasciandogli cicatrici che assomigliavano alle scaglie di un coccodrillo. Per questo motivo era stato soprannominato Dottor Crocodile, anche se erano pochi ad avere il coraggio di usare quel soprannome in sua presenza. Su di lui circolava la leggenda che avesse acquisito il potere di trasformarsi in quel rettile e lui non si curava di smentirla.

In questo momento era furioso.

<Il tuo piano è fallito!> urlò all’uomo dalla stazza imponente che stava in piedi davanti a lui e sul cui volto era tatuato un macabro teschio bianco.

<Il nostro piano, Joshua > ribatté con tono irridente Raoul Bushman <Lo abbiamo studiato insieme e tu ne hai approvato ogni punto. Non cercare di scaricare tutte le colpe su di me adesso.>

Per un secondo l’occhio bionico di Crocodile brillò e Bushman temette di ricevere una scarica laser in faccia, poi quel momento passò senza conseguenze.

<I tuoi tanto vantati agenti speciali si sono fatti catturare ed uno di loro si è perfino rivoltato contro di noi. Tu stesso non sei stato capace di catturare un vecchio grassone.> [3]

<Ammetto di aver sottovalutato Ishanta e gli altri, ma io imparo dai miei errori e la prossima volta…>

<Non so se ci sarà una prossima volta. Temo che…>

N’Dingi non terminò la frase perché improvvisamente si udì il rumore di una sirena d’allarme e subito dopo una voce stentorea annunciò da un altoparlante:

<<Aerei nemici in avvicinamento.>>

<Esattamente quello che temevo.> commentò Crocodile <Il Wakanda ha iniziato il contrattacco.>

<Come fanno a sapere che siamo qui?> chiese Bushman sorpreso <Il nostro velivolo non è invisibile?>

<Non sottovalutare una volta di più la tecnologia wakandana, Raoul.> ribatté l’altro in tono sarcastico <Hanno i mezzi per scoprirci ed è ovvio che li hanno usati. Hai qualche prezioso suggerimento, per caso?>

Bushman non rispose.

 

 

Centro Assistenza Donne Maltrattate Maria Stark, Manhattan, New York City.

 

La ragazza che si faceva chiamare Dora Milton ascoltava decisamente con molto interesse quello che le stava dicendo la donna bionda seduta davanti a lei.

<Ho passato la notte da una mia amica dei tempi in cui facevo la modella, prima di sposarmi, ma non volevo coinvolgerla, metterla in pericolo, e così sono venuta qui con mio figlio.> disse la donna.

<È stata una scelta saggia, Mrs. Dinu.> replicò la ragazza <Da quello che ho sentito su di lui, suo marito è un uomo molto pericoloso , il tipo d’uomo che non ammette che lo si abbandoni.>

<Lui… io non credo che farebbe del male a Gabe. È suo figlio.>

<Forse è così, ma di certo non avrebbe scrupoli a far del male a lei. Chiamerò la Polizia ed i Federali che stanno indagando su suo marito. Lei e suo figlio avrete la loro protezione.>

E non solo la loro, pensò la donna il cui vero nome era Okoye.

 

 

Birmin Zana, capitale del Wakanda.

 

Quando erano arrivati qui i tre ragazzi potevano anche sembrare dei semplici turisti desiderosi semplicemente di visitare i luoghi più suggestivi dell’Africa prima di riprendere il tran tran abituale degli studi e quale luogo in tutto il continente era più suggestivo del Wakanda?

A vederli adesso tutti avrebbero capito che non erano semplici studenti.

Il ragazzo dai capelli scuri e gli occhi grigi che dimostrava a stento vent’anni era sostanzialmente nudo ad eccezione di un perizoma di pelle intorno alla vita, che copriva giusto quello che doveva coprire, e di una cintura a cui era assicurato un pugnale. Si faceva chiamare Jack Porter, ma non era esattamente il suo vero nome.

La ragazza bionda indossava un top rosso che le lasciava scoperto l’ombelico e dei cortissimi ed aderentissimi pantaloncini azzurri. Anche lei aveva con sé un pugnale. Si chiamava Lorna Halliwell, aveva compiuto da poco 18 anni ed era al suo primo viaggio in Africa, anche se il suo legame con questo continente datava in qualche modo a decenni prima della sua nascita.

Lo stesso valeva per l’altra ragazza, la bruna Jane Hastings o semplicemente Jann, come preferiva farsi chiamare da un po' di tempo. Lei indossava un costume intero blu scuro che lasciava scoperte braccia e gambe con una scollatura non eccessiva. Con sé portava un arco ed una faretra colma di frecce.

<È tutto molto tranquillo in questa parte della città. > disse il ragazzo <Non mi piace.>

<Speravi in un po' di azione, Jack?> gli si rivolse Jann <Purtroppo per te, le forze armate del Wakanda stanno riprendendo il controllo della città anche senza il nostro aiuto.>

<Non è questo, è che c’è troppo silenzio. Non è naturale.>

<Hai ragione, è inquietante.> commentò Lorna.

Improvvisamente il silenzio fu rotto da quella che sembrava una risata lontana, ma man mano che si avvicinava la riconobbero per quello che era realmente.

<Il verso di una iena!> esclamò Jack.

Ed ecco che davanti a loro sbucò praticamente dal nulla la sagoma di una iena gigantesca.

 

 

Port Authority, Manhattan, New York City.

 

L’uomo inguainato in un costume scuro si faceva chiamare Leopardo Nero, ma neanche troppo tempo prima era stato T’Challa, Re del Wakanda, Pantera Nera. Quella ormai era sostanzialmente un’altra vita a cui aveva rinunciato consapevolmente per divenire un assistente sociale di nome Thomas Chalmers di giorno ed il protettore di Harlem di notte. Non si era pentito di quella scelta.

Dopo aver parlato con Okoye aveva deciso di tener d’occhio le mosse di Vlad Dinu. Conosceva quelli come lui quanto bastava da essere anche lui sicuro che avrebbe tentato di riprendersi il figlio e vendicarsi della moglie ed era deciso ad impedirglielo a qualunque costo.

Non aveva dubbi sull’onestà delle tre poliziotte che per motivi diversi si occupavano del caso, ma non avrebbe messo la mano sul fuoco sugli altri. Il denaro apre molte porte e Vlad l’Impalatore ne aveva abbastanza per corromperne parecchi.

Da poco erano usciti dalla villa il figlio maggiore di Vlad assieme ad una donna dal portamento aristocratico. Il Leopardo Nero aveva una certa idea di chi fosse. Dopo il suo scontro con la presunta figlia di Kraven[4] aveva raccolto alcune informazioni interessanti.

I due si erano subito separati: Nicolae Dinu era salito su un’auto sportiva mentre la donna era salita su una limousine con autista. Di lei si stava occupando Okoye, lui invece aveva deciso di seguire Nicolae, convinto che stesse macchinando qualcosa di losco.

Nei pressi di un capannone di proprietà della ditta di import-export che fungeva da paravento per le attività illecite di suo padre, Nicolae si era incontrato con un gruppetto di individui dall’aria poco raccomandabile. Da dove si trovava il Leopardo Nero non era riuscito a capire molto della loro conversazione, ma di due parole, anzi di due nomi, era assolutamente sicuro: Gabe ed Angela.

A questo punto non gli restava che una scelta. Nella sua veste di Thomas Chalmers lui era uno dei pochi a sapere dove si trovavano Angela Dinu e suo figlio ed anche se era improbabile che lo sapesse anche Nicolae, non poteva correre rischi: doveva proteggerli ad ogni costo.

 

 

Nei cieli sopra Wakanda.

 

All’interno del quartier generale volante di Joshua N’Dingi tutti i sistemi di comunicazione si accesero di colpo come azionati da una mano invisibile e nello scafo risuonò la voce di M’Koni:

<<Quest’aeronave è circondata dalle forze aeree del Wakanda. Se entro dieci minuti da adesso non riceverò la resa incondizionata di tutte le forze della Federazione Panafricana, darò l’ordine di colpire alla massima potenza. L’aeronave sarà distrutta e tutti coloro che sono a bordo moriranno… compreso te, Dottor Crocodile. È così che vuoi che finiscano i tuoi sogni di potenza?>>

<Quella troia ci ha fregato.> disse irosamente Raoul Bushman.

<Non è ancora detto.> replicò N’Dingi dopo aver riflettuto <M’Koni, ti propongo un’alternativa.>

<<Parla, ti ascolto.>>

<Ti propongo una sfida: io e te l’uno contro l’altra. Chi vince prende tutto. Che ne dici?>

 

 

A bordo dell’aeronave ammiraglia wakandana.

 

<Mia Signora… M’Koni, non puoi davvero pensare di accettare la sfida.> disse Jiru <Il nemico è alla nostra mercé. Crocodile non ha altra scelta che arrendersi o morire. Sarebbe da folli mettere di nuovo tutto in gioco per cosa: orgoglio?>

<Jiru ha ragione.> disse Khanata <Non c’è alcun motivo per accettare.>

<A parte che tutti hanno sentito la sfida e se non l’accettassi, passerei per una vigliacca agli occhi dei wakandani e di buona parte degli altri africani. N’Dingi ha giocato bene la sua ultima carta. Sa benissimo che non posso che accettare.>

<Allora manda me. Comunque vada io sono più sacrificabile.>

<O me.> intervenne Shuri <Sono una combattente più esperta.>

E più arrogante, pensò M’Koni.

<Vi ringrazio, ma è un compito che spetta a me.> disse infine <Tuttavia…>

Riaccese il microfono e si rivolse di nuovo a N’Dingi:

<Accetto la tua proposta, ma con una variante non negoziabile.>

<<TI ascolto.>> replicò il suo avversario.

Alla periferia di Birmin Zana, Capitale del Wakanda.

 

Fino ad un attimo prima si trovavano ai margini di una metropoli, ma adesso il paesaggio era mutato in quello di una lussureggiante foresta.

<Come è possibile?> esclamò Jann.

<Magia.> sussurrò Jack portando istintivamente la mano al coltello che portava appeso alla cintola.

<Odio la magia.> commentò Lorna facendo altrettanto.

La gigantesca iena avanzava verso di loro senza fretta. Era grande forse il triplo di una iena normale ed aveva una lunga cicatrice sul muso che le attraversava l’orbita vuota di un occhio.

Dietro di lei stavano trotterellando altri esemplari più piccoli ed ancora più indietro si intravedeva un altro paio di figure ancora confuse e forse umane.

<Perché ho la sensazione che ci troviamo in guai grossi?> chiese Jann mentre impugnava il suo arco ed incoccava una freccia.

Non attese risposta e scoccò la sua freccia per poi estrarne subito un’altra.

Entrambi i dardi passarono attraverso la gigantesca iena.

<Immateriale come un fantasma. Andiamo bene.> commentò la ragazza.

<Non lasciatevi spaventare. Per farci del male devono diventare solide e se sono solide possono essere ferite.> replicò Jack.

<L’hai letto in un racconto di Conan?> ribatté, sarcastica Lorna.

Prima che Jack potesse rispondere la gigantesca iena spiccò un balzo incredibile atterrando poco distante da loro. Lo spostamento d’aria bastò a far perdere l’equilibrio ai tre ragazzi.

Jack si rialzò rapidamente e disse:

<Voi occupatevi delle altre. A lei penso io.>

<Piantala con queste stupidaggini da macho.> replicò Lorna <Ti aiuteremo che tu lo voglia o no.>

Le altre iene si erano fermate e non emettevano nemmeno più i loro versi simili a risate.

Il tempo sembrò congelarsi per qualche istante, poi la iena gigante saltò di nuovo e piombò loro addosso stavolta travolgendoli tutti e tre.

Mentre con le zampe anteriori teneva bloccate le due ragazze, la iena volse il muso verso Jack che era al centro ed al ragazzo sembrò che il suo occhio cieco brillasse sinistramente.

Udì una voce e capì istintivamente che arrivava direttamente al suo cervello:

“Morirai, ragazzo e poi toccherà alle tue amiche.”

<Non ti sarà facile.> replicò lui spavaldamente colpendolo ripetutamente al collo con il suo coltello ma senza esito.

“Sei coraggioso…” disse ancora la voce “… ma la tua resistenza non servirà a nulla. Alla fine Mijeledi ti ucciderà.”

Mijeledi, era questo il nome della iena dunque. Non che gli servisse molto saperlo. Le zanne di quell’essere erano ormai vicine al suo collo e lui poteva sentire il suo fetido alito mentre tutti gli sforzi suoi e delle sue compagne per liberarsi sembravano disperatamente inutili.

Non può finire così, pensò, non deve!

Improvvisamente, qualcosa, o meglio qualcuno, piombò addosso alla iena.

 

 

New York City.

 

Margaret “Molly” von Richthofen si sentiva fortunata una volta tanto. Il destino le aveva concesso delle opportunità insperate ed ora stava a lei non farsele sfuggire

Ogni cosa che aveva se l’era dovuta guadagnare con il sudore e la tenacia avendo contro la diffidenza ed i pregiudizi che, nonostante tutti i bei discorsi, erano duri a morire nel Dipartimento di Polizia di New York nei confronti delle donne, specie quando queste erano anche lesbiche dichiarate.

Molly ce l’aveva fatta: era Tenente e comandava una propria squadra all’interno della Divisione Buoncostume[5] del Detectives Bureau ed era in lista per una promozione a Capitano.

E qui arriviamo alle opportunità di cui parlavamo: la sua squadra si era ritrovata a gestire le indagini su un grosso giro di prostituzione internazionale gestito da criminali espatriati dalla Romania alla cui testa c’era un individuo noto solo come Vlad l’Impalatore, un soprannome che si era guadagnato per il crudele modo con cui uccideva i suoi nemici, ovvero con il sistema usato nel XV Secolo dal crudele Vlad III di Valacchia, noto con il soprannome di Impalatore appunto ma anche come Dracula… sì, proprio quel Dracula.

Molly era convinta che il caso non le fosse stato tolto per essere passato alla Divisione Crimine Organizzato solo perché il Dipartimento temeva di essere accusato di discriminazione a causa delle sue tendenze sessuali, il che le stava benissimo. A Molly importava solo che il caso fosse suo anche se ultimamente aveva dovuto dividerlo con due agenti federali, rispettivamente del FBI e dell’ICE[6] che si occupavano della violazione delle leggi sull’immigrazione e sul traffico di esseri umani da una nazione all’altra per farli prostituire.

La pillola era addolcita dal fatto che gli agenti federali in questione erano due belle gnocche e Molly non disperava di riuscire a portarsene a letto almeno una prima che la faccenda fosse finita.

Ma questi erano pensieri per un altro momento, ora bisognava pensare all’indagine.

Vlad l’Impalatore si era rivelato essere Vlad Dinu, un imprenditore rumeno, ma sapere la sua identità non significava avere le prove per farlo condannare e qui interveniva un altro colpo di fortuna. La moglie trofeo di Dinu lo aveva abbandonato una volta saputo da dove venivano i soldi del marito. Era molto probabile che non sapesse nulla di importante, ma c’era la remota possibilità che potesse fornire informazioni che nemmeno sapeva di possedere.

Per questo Molly si stava dirigendo verso la casa sicura del Servizio Protezione Testimoni dove Angela Dinu e suo figlio Gabriel erano stati portati.

Purtroppo non era la sola.

 

 

Alla periferia di Birmin Zana, Capitale del Wakanda.

 

Il nuovo arrivato era sulla groppa della iena, le aveva afferrato il collo nella presa che nella lotta è conosciuta come Mezzo Nelson e lo stava tirando sempre più indietro.

La belva faceva ogni sforzo possibile per liberarsi dell’intruso e spezzare la sua presa, ma senza successo. Il collo veniva spinto sempre più indietro ed alla fine nell’aria risuonò un forte schiocco.

La gigantesca iena ricadde a terra mentre il suo aggressore balzava agilmente dalla sua groppa.

Jack Porter, Lorna e Jann, che nel frattempo si erano liberati dalla presa della bestia, finalmente poterono vederlo bene e lo riconobbero.

<Tu sei Kraven il Cacciatore!> esclamò Jann <Credevo fossi morto.>

<Quello era mio padre.> replicò Alyosha Kravinov <Per vostra fortuna io sono vivo.>

Jack indicò la carcassa della iena e disse:

<L’hai uccisa. Stavo cominciando a credere che fosse impossibile farlo.>

<Mijeledi è uno spirito e non può morire, ma il suo avatar sulla Terra può esserlo. Non tornerà tanto presto.>

<E così Conan aveva ragione dopotutto.> commentò Lorna per poi rivolgersi a Kraven <Dovremmo ringraziarti per averci salvato la vita. Ce la stavamo vedendo davvero brutta.>

<Il pericolo non è ancora passato.> ribatté lui <Ci sono ancora loro.>

Tutti guardarono nella direzione indicata e videro due figure. Entrambe appartenenti ad una qualche etnia africana, anche se non era facile dire quale.

L’uomo aveva un’età indefinibile, era nudo a parte un gonnellino di pelle di ghepardo. Lunghi capelli neri gli cadevano sulla schiena. Aveva occhi incredibilmente verdi. Il viso aquilino era completato da un lungo pizzo che gli scendeva dal mento. Sul suo volto c'era una cicatrice identica a quella della iena, anche se molto più piccola e che arrivava fino alla palpebra dell'occhio destro, che forse era cieco come quello dell’animale, ma non era facile a dirsi. In mano portava un bastone nodoso che teneva sollevato da terra e Jack Porter sentiva in qualche modo che nel momento in cui l’avesse battuto al suolo sarebbero cominciati guai seri per tutti loro.

Al fianco dello stregone, perché questo era sicuramente, stava una ragazza dai capelli crespi che dimostrava malapena vent’anni e che indossava una veste senza maniche con spacchi laterali.

A semicerchio intorno a loro adesso stavano accucciate alcune iene di dimensioni normali.

Apparentemente i due non sembravano pericolosi, ma i tre ragazzi sentivano istintivamente che non era così. Quanto a Kraven, sembrava calmo, ma ad uno sguardo attento non sarebbe sfuggito che i suoi muscoli erano tesi e pronti a scattare al momento opportuno.

Alla fine il vecchio ruppe il silenzio:

<Voi tutti… morirete.>

 

 

Da un’altra parte della capitale.

 

La donna indossava un costume violetto che le lasciava scoperto solo il volto. Sugli occhi aveva una speciale maschera domino che in qualche modo le nascondeva le pupille con un effetto che spesso intimoriva gli avversari.

Era l’ultima dei Phantom, una dinastia di avventurieri in costume che risaliva addirittura al regno di Elisabetta I d’Inghilterra e che si era eletta protettrice di quell’angolo di mondo.

Era venuta in Wakanda per bloccare i piani di espansione del Dottor Crocodile e poteva dire di aver dato il suo contributo al riguardo.

La sua missione non era ancora finita, però. Aveva ancora un’ultima cosa da fare se voleva essere certa che la regione rimanesse in pace.

Fissò per un istante l’abitazione davanti a lei e poi prese una decisione.

 

 

Central Harlem, New York City.

 

Monica Lynne si guardò allo specchio e decise che era abbastanza passabile per poter iniziare il suo show. Non l’avrebbe mai ammesso con sé stessa, ma non aveva ancora superato il trauma di quello che le aveva fatto T’Shan mentre era posseduto dal Dio Leone.[7] Pensava che lasciare il Wakanda e venire a New York l’avrebbe aiutata a superarlo, ma era evidente che non era davvero così e nemmeno questo l’avrebbe ammesso.

Uscì dalla toilette e si imbatté in Shauna Toomey.

<Sei pronta?> le chiese la moglie del gestore del locale.

<Prontissima.> rispose Monica ostentando un sorriso.

Shauna la seguì con lo sguardo mentre saliva su palco. Era abbastanza evidente che aveva dei problemi ma non erano affari suoi, dopotutto almeno finché Monica faceva bene il suo lavoro ed era indubbio che molti dei clienti venivano per ascoltarla cantare.

Morgan era stato molto esplicito: l’Harlem Club era e doveva restare un’attività assolutamente legittima e non doveva essere nemmeno sfiorata dalle sue attività illegali. Uno dei compiti di John James Toomey, il marito di Shauna, consisteva appunto nell’assicurarsi che certe cose e persone restassero, non solo in senso figurato, fuori dal portone d’ingresso.

Monica attaccò un vecchio pezzo di Nina Simone e come tutti in sala anche Shauna rimase in silenzio ad ascoltarla.

Tra il pubblico notò Abe Brown e le scappò un sorriso.

 

 

A bordo dell’aeronave ammiraglia wakandana.

 

Joshua N’Dingi arrivò e non era solo. Con lui c’erano Raoul Bushman ed un essere che poteva essere definito solamente come una pantera nera antropomorfa, completamente nudo ed inequivocabilmente maschio.

<Che significa questo?> chiese M’Koni.

<La mia personale variante.> replicò il Dottor Crocodile <Ho accettato di battermi sul tuo terreno contando sulla tua parola che rispetterai i patti in caso di mia vittoria, ma ho esteso la sfida anche ai tuoi due cugini. Bushman e la Pantera saranno i miei campioni.>

M’Koni guardò i suoi cugini e prima che potesse dire qualcosa fu Shuri a parlare:

<A me sta bene. Io mi prendo la Pantera. Ho sentito parlare di lui: dice di essere l’avatar umano del nostro dio, ma gli dimostrerò che sbaglia.>

<Il che suppongo che lasci a me Bushman.> aggiunse senza grande entusiasmo Khanata.

M’Koni fece un profondo sospiro e disse:

<Allora non perdiamo altro tempo.>

La sfida stava per iniziare.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Bentornati dopo una lunga pausa. Riprendiamo le fila del nostro racconto da dove eravamo rimasti. Onestamente, pensavo di concludere con questo episodio ma durante la pausa mi sono venute altre idee e così dovrete pazientare ancora un po'.

            A presto.

 

 

Carlo



[1] Negli ultimi episodi ovviamente.

[2] Dal n. 14.

[3] Sempre negli ultimi episodi ovviamente.

[4] Ancora una volta negli ultimi episodi

[5] In inglese Vice Enforcement Division. Per ragioni pratiche ho deciso di usare la classica dizione italiana. Squadra Antivizio non mi suonava bene.

[6] Immigration and Custom Enforcement, l’agenzia federale che si occupa di crimini legati all’immigrazione.

[7] Nei numeri 8 e 9 di questa serie.